Quanto costa la maglietta che state indossando? Questa non vuole essere una domanda invadente perché non ci riferiamo al prezzo pagato in negozio ma a quanto è costato all’ambiente la sua produzione. La produzione di una maglietta richiede, infatti, in media 2700 litri di acqua e genera elevate emissioni di CO2, ma non solo, per produrre la maglia che indossiamo sono state principalmente impiegate fibre e tinte di sintesi. Di fronte a questi dati e al fatto che la produzione di indumenti è destinata ad aumentare del 63% entro il 2030 è il caso che le cose inizino a cambiare.
Come ha chiesto l’ONU nell’agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile bisogna costruire nuovi sistemi di produzione a minor impatto ambientale.
Ed è in questo quadro generale, volto alla creazione di sistemi di produzione sostenibile, che affonda le sue radici L’evento Donne in Campo Cia-Agricoltori Italiani e ISPRA, tenutosi a Roma, per presentare il volume “Filare, tessere, colorare, creare”.
L’evento nasce a seguito di un questionario ad hoc, condotto dalle due organizzazioni, sulla produzione sostenibile di fibre e tessuti da fonti naturali e di recupero, i cui risultati hanno dato vita al volume “Filare, tessere, colorare, creare. Storie di sostenibilità, passione ed eccellenza”, che raccoglie una serie di best practice green fatte di biodiversità, innovazione ed economia circolare nel settore tessile.
Storie di “eccellenza green” come colorare vestiti e accessori utilizzando tinte 100% naturali realizzate con gli scarti agricoli, come le foglie del carciofo bianco, le “tuniche” delle cipolle ramate, le scorze del melograno, i ricci del castagno o i residui di potatura del ciliegio e dell’ulivo. Oppure come portare in passerella, per la prima volta, una collezione moda di abiti di origine forestale, prodotti da filati di cipresso, pelle di fungo e tessuti in sughero, eucalipto e faggio. O anche creare il primo allevamento di alpaca in Italia, costruendo una filiera completa dell’agro-tessile, che parte dal gregge, passa per la tosatura e filatura della lana e arriva fino al confezionamento di maglioni, sciarpe e coperte.
Sono numerosi i vantaggi derivanti dall’impiego di tinture naturali e di fibre vegetali e animali come lana, seta, lino e canapa. Come prima cosa – sottolineano Donne in Campo Cia- Agricoltori Italiani e ISPRA- si va incontro a tutta quella quota sempre più crescente di popolazione che soffre di dermatiti allergiche da contatto dovute all’uso di coloranti sintetici. Altro aspetto fondamentale è anche quello che recuperando piante e scarti di coltivazione ad uso tintorio, si contribuisce a riqualificare aree dismesse o degradate, e a consolidare i versanti tutelando allo stesso tempo biodiversità e paesaggi.
In questa direzione ha lavorato, ad esempio, un’archeologa tessitrice dell’aquilano che ha riscoperto un’antica varieta di lino autoctona e le sue tradizionali lavorazioni. Un lavoro talmente raffinato e pregiato che l’ha condotta a realizzare il kilt donato a Carlo d’Inghilterra dal sindaco di Amatrice nella sua visita dopo il terremoto del Centro Italia.
Anche l’economia circolare trova qui il suo spazio infatti dal riciclo possono essere realizzati eco-tessuti, come accade ad esempio nel Consorzio biellese che raccoglie la lana grezza prodotta dagli allevamenti ovini da latte e da carne italiani e trasforma quello che è considerato un sottoprodotto da smaltire, con costose procedure, in filati di pregio, dopo processi di lavorazione e lavaggio con detergenti biologici e biodegradabili e tinte naturali.
“La vicinanza tra le donne e il tessere è vivissima, nella storia e ancora oggi, come testimonia il grande contributo del mondo femminile alla sostenibilità della filiera dei tessuti naturali, cui apportano valore aggiunto e spiccata sensibilità”, ha detto Pina Terenzi, presidente nazionale Donne in Campo di Cia-Agricoltori Italiani. E ha aggiunto “Con questo evento, chiediamo di avviare con il Mipaaft e i Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, in collaborazione con l’ISPRA, un percorso condiviso e partecipato per la costituzione di tavoli di filiera a sostegno della produzione certificata di fibre naturali per la produzione di agri-tessuti”.
“Le testimonianze di oggi, le buone pratiche rappresentate da agricoltori e artigiani -ha aggiunto Lorenzo Ciccarese, responsabile dell’Area per la protezione della biodiversità terrestre e per la gestione sostenibile dei sistemi agro-forestali dell’ISPRA- sono esempi che promuovono la necessità di sviluppare nuovi sistemi di produzione agricola e zootecnica che possano avere un ruolo positivo nello sviluppo di processi di riduzione dell’inquinamento e di degrado ambientale, di riciclo delle risorse e di mitigazione dei cambiamenti climatici. La richiesta dell’ONU, di pensare oltre i modelli prevalenti e di vivere entro limiti sostenibili, è un messaggio che deve risuonare all’interno del business del tessile nel suo complesso, chiamato come gli altri settori a riformare se stesso: metodi di produzione più sostenibili, come l’uso di tinture che sprecano meno acqua, l'uso di rifiuti come materia prima e lo sviluppo di soluzioni innovative al problema dei rifiuti tessili”.
Sono molte quindi le possibilità aperte per una filiera del tessile ecologicamente orientata basti solo pensare che già oggi, in Italia, questa rappresenta il 20% (4,2 miliardi) del fatturato del settore e che il 55% degli italiani è disposto a pagare di più per capi di abbigliamento ecofriendly .
Quindi sì alla moda ma a minimo impatto!
Fonti:
comunicato stampa CIA- Agricoltori Italiani
Post a cura di Valeria Morelli 2.0