Undicimila chili: questo è il peso complessivo di tutti i materiali che, ogni anno, vengono in media consumati da ogni abitante del pianeta Terra e mentre un terzo, in brevissimo tempo, si trasforma in un rifiuto e finisce in discarica, dopo 12 mesi, solo un altro terzo sopravvive.
Esiste un solo modo per porre un freno ad uno spreco così estremo di risorse che sta portando ad una crescita del consumo di materiali ad un ritmo doppio rispetto a quello della popolazione mondiale: l’ economia circolare ovverosia il riciclo e il riutilizzo dei prodotti e, in questo ambito, l’Italia ricopre un ruolo d’eccellenza.
Il “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia” 2020, realizzato dal CEN-Circular Economy Network - la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 14 aziende e associazioni di impresa - e da ENEA – presentato, in streaming, nei giorni scorsi dal presidente CEN Edo Ronchi e dal direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali ENEA Roberto Morabito ha mostrato dati entusiasmanti: tra le cinque principali economie europee, l’Italia si pone al primo posto nella classifica per indice di circolarità ovverosia il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse nelle cinque categorie di produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti ed occupazione.
Secondo i dati contenuti nel Rapporto CEN, nel 2015, in Europa, la bioeconomia ha prodotto un fatturato di 2.300 miliardi di Euro e ha garantito l’impiego di 18 milioni di persone. Nella sola Italia questo settore ha registrato un fatturato di oltre 312 miliardi di euro nonché l’impiego di 1,9 milioni di persone (177 volte i dipendenti dell’Ilva). L’industria alimentare, delle bevande, del tabacco e della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura e pesca) contribuiscono per il 63% del valore economico per il 73% di quello occupazionale della bioeconomia.
La bioeconomia ricopre un ruolo cardine nella lotta alla salvaguardia delle risorse naturali a condizione che sia rigenerativa e quindi fondata su risorse biologiche rinnovabili e utilizzate difendendo la resilienza degli ecosistemi senza intaccare il capitale naturale. A tal proposito il Rapporto CEN sottolinea che, negli ultimi cinquant’anni, l’uomo ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse e anche a causa di tale condotta il 33% dei suoli mondiali è degradato basti considerare che ogni anno, in Europa, viene impermeabilizzata e cementificata un'area mediamente grande 348 chilometri quadrati (maggiore della superficie di Malta). Questo dato risulta ancora più allarmante se consideriamo che il suolo contiene oltre 2 mila miliardi di tonnellate di carbonio organico rappresentando quindi il secondo sink di assorbimento dei gas serra dopo gli oceani. Il continuo degrado del terreno e della vegetazione comporta quindi un aumento delle emissioni di gas serra: secondo l'Ipcc, nel corso del decennio 2007-2016, la attività connesse ad agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo hanno comportato l’emissione, in media, di circa 12 miliardi di tonnellate di CO2 annue e quindi circa un quarto dei gas serra globali.
“La transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia rigenerativa è sempre più urgente e indispensabile anche per la mitigazione della crisi climatica. Oggi esistono importanti strumenti normativi a livello europeo ma vanno incoraggiati. Penso al piano investimenti presentato alla Commissione europea il 14 gennaio scorso: un primo passo che però non è ancora sufficiente”, afferma Edo Ronchi, presidente del CEN. “Per rendere operativo il Green Deal occorre almeno il triplo delle risorse stanziate: bisogna arrivare a 3.000 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di interventi molto impegnativi: una riforma dei regolamenti alla base del Patto di Stabilità per favorire gli investimenti pubblici; una nuova strategia per la finanza sostenibile in modo da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati; una revisione delle regole sugli aiuti di Stato. Indispensabili, infine, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione Europea”, conclude.
“Nell’economia circolare, l’Italia è partita con il piede giusto e ancora oggi si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia”, commenta Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. “Sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Percentualmente le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media UE 28 che è dell’1,7%. Ma oggi registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri”.
Il rapporto è scaricabile dal sito del Circolar Economy Network.
FONTE: comunicato stampa