Per Talete di Mileto, colui che è considerato il primo filosofo della storia del pensiero occidentale, era l’origine di tutte le cose e, del resto, il corpo di un uomo adulto ne è composto al 60-65%: l’acqua è sicuramente un elemento fondamentale per la vita di qualsiasi organismo. Purtroppo, troppo spesso, tendiamo a dimenticare il valore fondamentale di questa risorsa trasformando un suo impiego corretto in un vero e proprio spreco.
I dati, del resto, sono chiari: secondo gli esperti dell’Istat, in Italia il prelievo giornaliero pro-capite di acqua potabile è di 428 litri e l’abnormità di questo numero è ricollegabile al fatto che quasi la metà dell’acqua prelevata (il 47,9% per la precisione) viene dispersa per colpa delle perdite disseminate lungo la rete di distribuzione. Questa condotta dissennata ci sta già presentando il conto: nel 2018 ben sei regioni hanno dichiarato lo stato di emergenza per carenza idrica mentre nel 2017 la portata media annua dei quattro principali bacini (Po, Adige, Tevere e Arno) si era ridotta del 40% rispetto al trentennio precedente.
Tale contesto – già di per sé grave – è reso ancora peggiore dal cambiamento climatico in atto e dallo stato di inquinamento che colpisce molti fiumi e che ha ho portato il 60% di essi e dei laghi a non raggiungere, in Italia, il livello di “buono stato ecologico” previsto dalla direttiva quadro Acque. Nelle scorse settimane Legambiente, con il patrocinio del ministero dell’Ambiente e della Regione Lazio e il sostegno di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), Celli Group ed Ecomondo, ha organizzato una giornata di incontri e dibattiti sulla gestione corretta e sostenibile dell’acqua.
Per quanto riguarda lo stato di salute di fiumi e laghi italiani, i monitoraggi eseguiti fra il 2010 e il 2015 hanno evidenziato che solo il 43% dei 7.494 fiumi italiani versa in “buono o elevato stato ecologico” mentre il 41% si trova al di sotto dell’obiettivo di qualità previsto dalla direttiva e il 16% non è ancora classificato. Solo il 20% dei 347 laghi italiani è conforme alla normativa europea mentre il 41% non è stato ancora classificato.
In Italia il 55% dei consumi di acqua è destinato al settore agricolo, il 27% a quello industriale e il 18% agli usi civili. E’ evidente quindi che, per ridurre gli sprechi, i primi operatori che debbono ripensare il proprio consumo dell’acqua sono quelli impegnati nell’agricoltura, investendo, ad esempio, nei sistemi di microirrigazione a goccia che garantirebbero di tagliare fino al 50% dei consumi e a sistemi di tariffazione premiale che valorizzino le esperienze virtuose. Nel settore civile è invece essenziale investire per eliminare le perdite di rete che, ogni giorno, secondo i dati Istat, costano circa 10 milioni di metri cubi di acqua.
“Alla luce dei cambiamenti climatici in atto - ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti - che ci mettono di fronte a nuovi scenari che minacciano la disponibilità e l’accesso all’acqua, è necessario mettere in campo nuovi approcci e strategie per gestire e tutelare la risorsa idrica. Partiamo da quanto di buono è stato già messo in campo finora, da quei gestori del servizio idrico integrato e dai Comuni che hanno messo l’acqua al centro delle loro priorità, e facciamola diventare una priorità a livello nazionale, la prima grande opera pubblica del nostro Paese. Occorre affrontare e risolvere le criticità presenti, dalla depurazione alla tutela dall'inquinamento e alla riduzione dei prelievi, e garantire l'accesso all’acqua per tutti, anche per le generazioni future. Per questo è sempre più necessario rispondere in maniera efficace a quanto richiesto a gran voce da milioni di cittadini italiani con il referendum del 2011, mettendo insieme tutti gli attori in gioco per garantire un servizio equo, efficiente e sostenibile”.
“Il nostro Paese - ha spiegato Giordano Colarullo, il direttore generale di Utilitalia, - si ritrova ad affrontare sempre più spesso problemi di siccità d’estate, alluvioni in autunno e grandi rischi idrogeologici. Dopo decenni di investimenti insufficienti e legati alle stagionalità politiche, il settore idrico ha intrapreso un deciso percorso di miglioramento nell’ultimo periodo; ciò grazie a uno sviluppo delle gestioni in un’ottica industriale, al raggiungimento di maggiori efficienze del servizio ottenuto con una maggiore dimensione delle aziende, nonché ai positivi effetti della regolazione, che sta spingendo il sistema delle imprese verso una migliore offerta ai cittadini. È necessario continuare a incrementare il livello degli investimenti per recuperare il gap infrastrutturale. Ora il cambiamento climatico mette i gestori di fronte a nuove sfide: per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, ad esempio, sono necessari investimenti pari a 7,2 miliardi di euro”.